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BOTTEGHE ARTIGIANE DEL LEGNO, QUANDO MONTAURO VANTAVA IL PRIMATO


Nel 1935 è arrivata l’elettricità e con quella i macchinari nuovi che hanno cambiato gli interni dei laboratori, cancellato il romanticismo e lentamente trasferito alle industrie quasi tutto il lavoro del legno

 di Domenico NARDA 

  – MONTAURO (CZ) –  20 NOVEMBRE 2023 –  I paesi collinari, come si sa, sono stati lentamente abbandonati dalla popolazione, un po’ per ragioni di lavoro, ma anche semplicemente perché sono venuti a mancare progressivamente quei servizi essenziali per la sopravvivenza e per un minimo di vita sociale. 

E’ il destino anche di Montauro, i cui cittadini cercano di resistere al continuo svuotamento delle case, delle strade, delle piazze, creando i presupposti perché il paese diventi almeno un obiettivo turistico. 

Ma durante il triste inverno, quando ci si incontra nelle vie si parla dei tempi in cui ogni locale delle case a pianterreno, era sede di un’attività commerciale o artigianale. 

Montauro vantava il primato nel circondario soprattutto per l’artigianato del legno e qualcuno ricorda anche i nomi e le specializzazioni dei titolari di bottega. 

La lavorazione del legno è cominciata, ovviamente, con la fondazione stessa del paese ma i ricordi documentati, cominciano nei primi anni del novecento. 

Chi ha chiuso l’ultima falegnameria, i fratelli Marascio negli anni novanta, ci racconta di quanto sia stato doloroso, svendere le ultime attrezzature e chiudersi alle spalle il cancello del laboratorio che era  stato messo in piedi dal proprio padre nel 1920. 

 Chi ha buona memoria ricorda ancora Giuseppe Polagruto, detto Peppe e l’acciprevita, che abitava nel rione Pottedha ed è rimasto nel mondo del lavoro fino all’età di 80 anni,  sembra di vederlo adesso con l’ascia e la sega a mano mentre lavorava alla costruzione delle scale interne delle case, perché in quegli anni si usavano poco marmi e cemento per  gradini e passamano dentro le abitazioni.

 Accanto al pregevole lavoro di carpenteria c’era quello fine della creazioni di mobili ed i più bravi in questo campo erano: Antonino Pisani, che aveva appreso il mestiere nelle scuole napoletane e che vantava richieste provenienti dall’intero comprensorio, attività continuata dal figlio Carminuccio al servizio del quale c’era Giuseppe Grande  (Casadonte).

 Vincenzino Squillacioti “da praccoca” che si dedicava anche agli infissi oltre che ai mobili. La famiglia Alcaro, una dinasty che si era cimentata nel mestiere fin dall’800 ed apponeva come firma sulle sue creazioni la testa di Dante Alighieri scolpita nel legno.

 Pantaleone Pallone, con falegnameria di fronte alla chiesa di S. Caterina. Antonio Zangari detto “U conte”  che alla fine si è dedicato alla realizzazione di dipinti su tela fatti con le pale dei fichi d’india essiccati.

 Domenico Mercurio che costruiva  mobili di pregio per ogni arredamento. Fulginiti Gregorio (detto San Pietro per via della partecipazione ad attività teatrali del venerdì santo), con bottega artigiana in Via Pietà.

 Nel laboratorio di Micuzzo Marascio che collaborava assieme a Micuzzo Gullà è stato realizzato il portone della chiesa matrice che ancora oggi fa bella mostra di se in questo edificio storico.

 E poi gli apprendisti Froio Arcangelo, Italo Mazzotta, Gregorio Gullà, diventati a loro volta bravi artigiani; sembra impossibile che in un paesino di appena 2000 abitanti ed un’estensione abitativa di pochi ettari venissero stipate così tante botteghe solo del legno. 

 Ma quali erano i materiali usati in quell’epoca ?

 Non certamente quelli d’importazione come oggi, il legname veniva reperito nel circondario.

 Noce,  ciliegio e castagno erano gli alberi che si trovavano con una certa facilità nei fondi contadini della zona di Montauro, Gasperina o Stalettì, e con questi venivano assemblate le camere da letto.

 La quercia serviva per la carpenteria. Stanze da pranzo e salotti avevano come base l’abete, ma questa pianta proveniva un po’ più da lontano, esattamente dai boschi di Serra San Bruno ed arrivava trasportato da carri con i cavalli.

 I boscaioli serresi arrivati in paese si fermavano all’ingresso  dopo aver attraversato il comune di Gasperina, trascorrevano la notte sui loro mezzi avvolti nei loro mantelli e poi al mattino procedevano alla vendita con una specie di asta fra i vari proprietari delle botteghe.

 La stagionatura non avveniva in forni come oggi, il legno veniva essiccato naturalmente ammassandolo in campagna dopo il taglio, e veniva lavorato con attrezzi che oggi definiremmo arcaici, sega a mano chiamata “trainedha” che tagliava il legno appoggiato sui cavalletti, enormi pialle che venivano trascinate sui piani di lavoro con grandi difficoltà, raspe e martelli, tenaglie e morsetti, scalpelli e sgorbie, squadre e compassi e la matitona perennemente incastrata tra cranio e padiglione auricolare del mastro.

 Alcuni falegnami montauresi si sono fatti valere nel mondo ricordiamo fra questi: Giuseppe Grande che ha messo su un nuovo laboratorio ad Imperia, Leo Narda che ha costruito un opificio a Ciampino, Gregorio Mercurio in Svizzera ha ampliato una falegnameria preesistente.

 Molti sono emigrati in Argentina e non hanno più fatto ritorno in patria come ad esempio Vincenzo Squillacioti e famiglia.

 Nel 1935 a Montauro è arrivata l’elettricità e con quella i macchinari nuovi che hanno cambiato gli interni dei laboratori, cancellato il romanticismo e lentamente trasferito alle industrie quasi tutto il lavoro del legno.

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