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PRESERRE (CZ) – L’IRRAGIONEVOLE FOLLIA DELL’UOMO NELLA POESIA DI BONIFACIO VINCENZI

LietoColle pubblica “Bataclan”, ultimo lavoro del poeta e scrittore calabrese dedicato alla tragedia di Parigi 

di Eugenio NASTASI

 PRESERRE (CZ) – 29 MARZO 2016 – Probabilmente l’occasione di questo lavoro di Bonifacio Vincenzi, Bataclan, Lietocolle, 2016, occasione tragica nella sua efferata evenienza, vuole rispondere in definitiva al paradosso di dare all’esistere la dote dell’essere: l’eternità. Con mano delicata e con tocchi leggeri, il nostro delinea un organigramma di versi con la voglia di carpire l’invisibile che rimane dopo la tragedia del Bataclan come per risorgere dall’annullamento.

 I versi, nelle parti che compongono il poemetto, paiono le pennellate o, se si vuole, i tocchi di un pianoforte che sfidano il tempo, la realtà delle cose, per proporre, spes contra spem, l’amare invisibile che rimane di tanti giovani uccisi dalla irragionevole follia dell’uomo a noi contemporaneo e sembra che Vincenzi si rifaccia a Quasimodo che scriveva: “Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo” da “Giorno dopo giorno” 1946. Non ci resta che amare l’invisibile per se stesso, al di là del desiderio e del sogno, come puro amore, da che a tragedia compiuta, l’unico tentativo, pare dirci il poeta, è tentare il possesso dell’invisibile come capitolazione dell’uomo e come sacrificio di tanta giovinezza.

 “Sei nell’ombra della pioggia che ti bagna…” pag.44 e il desiderio di possesso s’articola come ansia di morte, un’irrealtà segue all’altra; ugualmente lontana dall’origine e dalla fine, la costatazione del susseguirsi del misfatto è talmente fuori da ogni razionalità da sfociare nel vuoto cerchio dei sentimenti come una condanna.

bataclan

Il tono narrativo o descrittivo non deve trarre in inganno: la poesia di Bonifacio Vincenzi vuol pagarlo caro quest’assurdo, non si rassegna a mettere le ali se prima non ha scavato come una talpa nel vivo e nel duro del reale, un realismo piuttosto voluto per l’immedesimazione del Nostro di fronte al “sacrificio di tanta carne battezzata” come scriveva l’indimenticabile Renato Serra al fronte della prima Grande Guerra.

 Pur nella loro semplicità mi viene da dire che siffatta poesia ha una spina dorsale e testimonia l’ansia di un autore in divenire. Con questa testimonianza Vincenzi tenta di formularsi in protesta civile contro “la fretta del tempo”, contro la consumazione della storia contemporanea che lascia convivere amore e violenza come uno schiaffo alla vita, come rifiuto della pietà e della gentilezza dell’uomo nato con altro, ben più nobile destino.

 “Siamo ciò che la vita ci consente di essere…un freno di ansia vissuta” scrive alla fine l’autore, come a interpretare vitalmente, per una volta ancora di tanti giovani che non ci sono più, il loro affacciarsi allo sguardo.