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PRECARIATO, QUELLE 75 UNITÀ VIBONESI DIMENTICATE DALLA REGIONE

Fin dalla data di assunzione, a questi lavoratori «non è stato versato ancora un solo euro a titolo di contributi previdenziali, seppur previsti dal contratto sottoscritto»

 Fonte: ILVIZZARRO.IT 

PRESERRE (VV) –  25 MAGGIO 2019 –  La galassia del precariato calabrese annovera, tra gli altri, un gruppo di lavoratori precari appartenenti al bacino della Legge regionale 15/2008 provenienti da Vibo Valentia e dai paesi limitrofi.

Si tratta di 75 unità il cui esordio lavorativo è avvenuto presso la Provincia e che versano nella condizione di precariato, ormai, da un ventennio.

I lavoratori in questione vengono assunti, nel mese di novembre 2015, da Azienda Calabria Lavoro a seguito delle vicende della Fondazione Calabria Etica, dove erano contrattualizzati con contratto a tempo determinato parziale (11 ore settimanali), continuando fino al dicembre 2016 con questo ristrettissimo monte ore, aggiornato e portato a 18 solo nel gennaio 2017. Sono oggi impegnati presso vari Enti della Provincia di Vibo Valentia (Asp, Comune di Vibo Valentia, Prefettura, ecc.) sulla base di apposite convenzioni sottoscritte a seguito di manifestazioni di interesse, con l’Azienda Calabria Lavoro.

Con decorrenza 1 gennaio 2019, i precari del bacino della Legge 28/2008, anch’essi contrattualizzati da Calabria Lavoro, sono stati “stabilizzati” a tempo parziale (18 ore settimanali), presso quell’Ente. Provvedimento, questo, che avrebbe dovuto essere seguito da atto analogo per i “vibonesi” della legge 15. A distanza di ben 5 mesi, èerò, ancora nulla si è fatto o si dice sull’argomento.

La Regione, secondo i precari, «è immobile su questo e uno strano quanto colpevole silenzio caratterizza i suoi atteggiamenti. Non a caso, i precari del Vibonese sono stati efficacemente definiti come “figli di tutti e di nessuno”».

«Con queste considerazioni – proseguono ancora i lavoratori – non si vuole scatenare una guerra fratricida “tra poveri”. Le intenzioni in tal caso sarebbero ben misere. Lo scopo di queste riflessioni è quello di divulgare una disparità di trattamento odiosa e inconsulta».

I precari con tempo parziale e determinato della Regione Calabria portano a casa «circa 20 euro in meno della soglia massima di reddito di cittadinanza; anche questo è bene che si sappia, ed i “vibonesi”, nel periodo di rapporto di lavoro a contratto con Calabria Etica, ne portavano a casa poco più di cinquecento: cinquecento euro al mese!».

Fin dalla data di assunzione, a questi lavoratori «non è stato versato ancora un solo euro a titolo di contributi previdenziali, seppur previsti dal contratto sottoscritto».

La dimensione di precario reca, in sé, l’irrilevanza economica di una persona, impossibilitata a pianificare ogni possibile scenario futuro che lo riguardi in qualche modo, al punto che anche l’apertura di un conto corrente bancario su cui far confluire obbligatoriamente i propri stipendi è spesso difficile.

Il contratto sottoscritto da tutti i lavoratori delle leggi citate «è stato mutuato dal C.C.N.L. Enti Locali ed è di secondo livello». A seguito di vertenze ed accordi sindacali nazionali, ai lavoratori di questi settore sono stati riconosciuti in tutta Italia «adeguamenti mensili di stipendio risalenti all’anno 2016, nonché i relativi arretrati maturati, pagabili già dal giugno 2018».

«Ebbene – denunciano ancora i lavoratori – tra tutto il precariato dipendente da Azienda Calabria Lavoro, soltanto il gruppo vibonese della Legge 15/2008 non si è visto riconoscere le somme cui aveva diritto. Alla ricerca di spiegazioni, si è appreso che il capitolo di spesa regionale su cui si imputano le somme per gli emolumenti, sarebbe denominato “Fondo Sollievo”, quindi semplice sostegno al reddito e non impegno derivante da contrattualizzazione, per cui si oppone che la natura della spesa proibisce il versamento delle somme».

A giudizio dei precari, sorgono dunque una serie di domande: «E’ il capitolo di spesa che qualifica i lavoratori cui il diritto agli arretrati ed all’adeguamento stipendiale è negato, o il contratto che hanno sottoscritto?».

E ancora: «I lavoratori della Legge 28/2008, che hanno lo stesso contratto di lavoro, si sono visti riconoscere il diritto solo perché le somme relative ai loro stipendi sono imputate su altro capitolo? Di questa situazione si è fatta recentemente rimostranza nella sede competente, ma ancora non si intravedono soluzioni».

Queste circostanze, però, diventano «ancor più incredibili alla luce dell’abbondante produzione normativa nazionale e regionale che disciplina il superamento del precariato storico della pubblica amministrazione, obiettivo da raggiungere per non continuare a subire procedure di infrazione e multe dall’Europa per l’uso abnorme di contratti di lavoro a tempo determinato.

Ventisette lavoratori “vibonesi” del bacino della Legge 15/2008 prestano attualmente servizio presso l’Asp, Azienda che ha effettuato la ricognizione del precariato impegnato nei propri uffici al fine dell’elaborazione del fabbisogno triennale di personale, operando, di fatto, una scelta sul come organizzare il riempimento dei vuoti di organico; ma, nonostante tutte le migliori intenzioni che la stessa sta dimostrando, considerando anche il regime di commissariamento della sanità calabrese, l’ostacolo che si incontra per una stabilizzazione è soprattutto il “carattere di ente pubblico o privato di Azienda Calabria Lavoro” , il cui Statuto non incoraggia conclusioni favorevoli all’una o l’altra delle ipotesi».

In conclusione, «ci si trova a misurarsi con il dramma lavoro, ambito in cui il valore della persona è opinione e non dato di fatto, dove i diritti esistono ma non per tutti, dove le tutele obbligatorie diventano facoltà.

Dove, cioè, esiste anche il bacino dimenticato».