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POPULISTA: TUTTI NE “ABUSANO” MA COSA SIGNIFICA REALMENTE

Il termine “populista” è diventato l’arma dei partiti di governo dell’Unione Europea per tracciare una differenza ontologica tra essi e i partiti che propongono una visione diversa della società, il cosiddetto”antisistema”

di Salvatore CONDITO, Giornalista

PRESERRE (CZ) – 6 GENNAIO 2019 –  Sempre più spesso, nel dibattito politico italiano (e non solo), sentiamo pronunciare il termine “populismo”. Il più delle volte è utilizzato per sminuire l’avversario, sottintendendo che esso cerca un facile consenso tra gli elettori: il famoso “parlare alla pancia”. Una volta immessa nella testa degli elettori questa concezione di populismo, si è passato a usarla per ridicolizzare gli argomenti dell’avversario.

Il termine “populista” è diventato l’arma dei partiti di governo dell’Unione Europea per tracciare una differenza ontologica tra essi e i partiti che propongono una visione diversa della società, il cosiddetto”antisistema”: “Solo noi (centristi ed europeisti) siamo governativi, gli altri sono solo alla ricerca di facili consensi”.

Con questa strategia comunicativa – ormai più efficace della vecchia “reductio a hitlerum” – i partiti “di sistema” indicano i loro oppositori come immaturi e utopisti, quando non mistificatori e ingannatori, e dunque preclusi al governo di un Paese – argomento simile a quello usato dalla DC contro il PCI, quando, per via dell’URSS, nonostante gli sforzi togliattiani della “via italiana”, la dottrina marxista era definita incompatibile con la democrazia.

L’etichetta di “populista” è stata affibbiata a tutti i critici – circa radicali – del sistema europeo, indipendentemente dalle loro specifiche ideologie: dalla Syriza di Tsiprasal Front National della Le Pen, dal MoVimento cinque Stelle al sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, dallo Ukip di Farage a Podemos di Iglesias.

L’unico elemento che accomuna queste forze politiche è l’opporsi – nei modi e per le motivazioni più disparate – al sistema attuale. Eppure, il vero significato di populismo è tutt’altro da quello, molto più simile a “demagogia”, affibbiatogli dall’attuale narrazione dominante.

Per quanto riguarda la cultura italiana, il populismo è anche una corrente della letteratura contemporanea – più correttamente “letteratura populista” – nella quale alcuni critici (Alberto Asor Rosa in “Scrittori e popolo” del 1965, ad esempio) inseriscono, tra gli altri, autori come Elio Vittorini, Antonio Gramsci, Pier Paolo Pasolinie molti altri intellettuali di stampo marxista, democratico o esponenti del cosiddetto “fascismo di sinistra”, di cui faceva parte inizialmente lo stesso Vittorini.

Gli “autori populisti” erano così definiti perché consideravano il popolo come depositario dell’energia e dell’intelligenza collettiva in grado di cambiare la propria condizione sottoposta (questi autori indicavano come “popolo” principalmente le classi contadine e operaie e tutti i cittadini che si opponevano alla dittatura fascista) e, da essa, l’intera società. Una fiducia nelle potenzialità di un popolo spesso idealizzato o, con maggior realismo, da egemonizzare culturalmente, come previsto dalla visione marxista gramsciana. 

“L’uso del termine populismo è legittimo solo quando sia presente nel discorso letterario una valutazione positiva del popolo, sotto il profilo ideologico oppure storico-sociale oppure etico. Perché ci sia populismo, è necessario insomma che il popolo sia rappresentato come un modello”. Alberto Asor Rosa, Scrittori e popolo, 1965)

La visione della corrente letteraria italiana è assolutamente coerente con il concetto originario di populismo, derivato dal termine inglese “populism”, a sua volta traduzione del russo “narodničestvo” (“narod” in russo significa, appunto, “popolo”), parola che denomina un movimento nato nella Russia imperiale alla metà del XIX secolo, il cui scopo era l’emancipazione delle masse contadine dallo stato di povertà e il superamento dello zarismo per giungere a una società democratica, che poteva essere, secondo le visioni, “occidentalista” (cioè liberale) o di stampo socialista.

Il termine populismo ha, dunque, un significato politico chiaro: rendersi portavoce delle domande del popolo; lavorare per migliorare le condizioni degli strati più deboli della società, internamente alla democrazia rappresentativa, auspicando un suo superamento, favorito da mezzi di democrazia partecipativa e diretta (secondo una visione molto rousseauiana di democrazia), con lo scopo di rendere il popolo sempre meno limitato nel semplice “relegare” (citando il Gaber de “La libertà”): una visione, quasi libertaria, di graduale autogestione della società.

Secondo questo significato, “populista” dovrebbe essere considerato come il più alto dei complimenti che possa esser rivolto a un politico. E, in effetti, esso è un appellativo che non meritano tutti quelli cui è affibbiato, o, al limite, per alcuni è valido solo nel senso di “demagogo”.

Ma probabilmente, in un ambiente politico dominato da economia e finanza, in cui la voce dei cittadini ha sempre meno preso, il termine “populista”, anche – e soprattutto – se preso nel suo significato positivo, non è lusinghiero per i politicanti di mestiere.

Se poi da persone ‘oneste intellettualmente’ , osserviamo i  comportamenti di tanti nostri politici nostrani o  ‘cortigiani di palazzo’, ci rendiamo conto di come facilmente si fa il salto di quaglia per passare dall’altra parte del fosso, per continuare a  ‘garantirsi’ come casta eletta nel continuare a percepire prebende oneri e situazioni di comodo.

Oggi i calabresi credo che hanno intuito il gioco delle tre carte, alla fine non si vince mai, ma da troppi anni vincono sempre le stesse facce che fanno il solito carosello: scendono da un cavallo per salire sul prossimo vincitore.

Forse occorre solo avere il’coraggio’ di essere uomini e realisti nel condannare tali personaggi relegandoli nel passato con un giudizio severo: la distruzione di ogni condizioni di sviluppo di questa splendida terra, costringendo i nostri figli ad andarsene all’estero, mentre i figli nipoti e affini dei voltagabbana, continuano a ‘succhiare’ come parassiti le risorse pubbliche.