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CENTRALE A BIO-GAS, IL “COMITATO PROTEGGIAMO CURINGA” DICE “NO”


Il progetto prevede il trattamento di 70.000 tonnellate annue di rifiuti

di REDAZIONE 

CURINGA (CZ) – 14 OTTOBRE 2021 –  La piana, gli uliveti, i vivai, le macchiedi Curinga (CZ) – e paesi limitrofi – corono un grave pericolo.

Lo denuncia il “Comitato proteggiamo Curinga”, fondato da imprenditori, agricoltori, residenti del borgo calabrese divenuto famoso per il grande platano orientale che campeggia sotto i resti del Monastero di S. Elia Vecchio, recentemente assurto agli onori della cronaca per essere stato scelto come uno dei più begli alberi monumentali del mondo.

In località Favarella, a pochissima distanza dalla popolosa frazione di Acconia,al confine con le rinomate aziende agricole e vivaistiche, nel cuore verde di questo lembo meridionale della Piana di Sant’Eufemia, dovrebbe sorgere, infatti, una centrale a bio-gas con una capacità di trattamento rifiuti di 70.000 tonnellate annue. A chiedere le necessarie autorizzazioni alla Regione Calabria, alla Provincia di Catanzaro ed al Comune di Curinga è la Energy Waste Asset s.r.l. (EWA), con sede a Squillace, la cui effettiva proprietà non è evincibile, ad oggi, dalla visura camerale.

L’avviso pubblico previsto dalla normativa vigente è stato da qualche giorno pubblicato sul bollettino regionale e comunicato agli altri enti. Tutti gli interessati potranno inviare osservazioni alla Regione, che dovrà poi valutare la compatibilità ambientale del progetto.

E’ esattamente quel che intende fare il Comitato, che si è dichiarato nettamente contrario al progetto. Ma cos’è una centrale a bio-gas? Si tratta, spiega il Comitato, di un vero e proprio impianto di trattamento rifiuti (in massima parte rifiuti organici del circuito pubblico, fanghi da depuratori e letame, attraverso la fermentazione anaerobica (ossia priva di ossigeno) dei rifiuti stessi, produrrà sia metano (da qui la denominazione di bio-gas) da immettere nella rete SNAM che compost per uso agricolo.

Il Comitato non si dichiara pregiudizialmente contrario a questo tipo di impianti – che producono energia da fonti rinnovabili – ma rileva, piuttosto che la destinazione, i vincoli e le cautele gravanti sulla zona dove esso dovrebbe sorgere rendono del tutto incompatibile la sua ubicazione.

Queste centrali andrebbero situate in un contesto di tipo industriale, quale potrebbe essere la non distante Zona Industriale Benedetto XVI di Lamezia Terme, notoriamente capiente perché ancora in gran parte inutilizzata. Mentre la zona in cui dovrebbe sorgere la centrale in contestazione è interamente vocata all’agricoltura di qualità, al turismo ed alla tutela dei beni culturali ed ambientali oltre che interessata da numerosi insediamenti abitativi della frazione di Acconia e di diverse frazioni ricadenti nel Comune di Filadelfia.

Tanto è dimostrato dai numerosi vincoli che il piano paesistico regionale ha imposto sul territorio di Curinga, dalla presenza, nelle immediate vicinanze di numerose aree di importanza ambientale (Pantano dell’Imbutillo, pineta litoranea, dune costiere, Lago Angitola, boschi di macchia mediterranea, alberi monumentali come il platano orientale di loc. Vrisi etc.), molte altre di pregio colturale (uliveti, frutteti, vigneti, vivai), altre ancora ad alto gradiente culturale, archeologico e storico-artistico (Monastero di S. Elia Vecchio, il borgo di Curinga con i palazzi, le chiese, le architetture popolari, le Terme Romane di Acconia, etc.).

Lo stesso piano paesistico regionalemette in evidenza la necessità di preservare gli attuali panorami che l’intero territorio di Curinga offre. Ed a nulla vale sostenere, come scritto nei documenti progettuali, che essa sorgerebbe su un terreno a destinazione industriale, perché non di una vera area industriale si tratta ma di un singolo lotto di terreno che quarant’anni addietro, con un’improvvida decisione politica presa in piena ubriacatura industrialista, ebbe colpevolmente cambiata la destinazione urbanistica, piazzando un grande capannone ed altri impianti nel bel mezzo alle aree agricole; strutture queste che, completamente avulse dal contesto, costituiscono uno sfregio permanente alla reale vocazione dei luoghi.

Vi è poi il problema del transito dei mezzi che trasporteranno rifiuti attraverso gli abitati, le colture, gli agriturismi: per rifornire la centrale di 70.000 tonnellate di rifiuti, saranno necessari almeno venti mezzi al giorno in media, oltre a quelli che dovrebbero trasferire all’esterno le 20.000 tonnellate di compost prodotto. Inutile dire, poi, che sia la centrale che i mezzi in transito produrrebbero evidenti molestie olfattive quotidiane.

Vi è anche il problema della falda acquifera. Sotto il sito della centrale, infatti, vi è una grande estensione di falda pregiata che già fornisce acqua alle colture ed all’abitato e non può essere messa in pericolo dalla presenza dell’impianto di smaltimento.

Inoltre vi è il rischio di inquinamento dei vicini corsi d’acqua fra cui il Torrente Randace che scorre adiacente al sito della centrale per gettarsi dopo poche centinaia di metri nel Mar Tirreno.

Queste e molte altre le ragioni dell’opposizione del Comitato alla Centrale di bio-gas.

Il Comitato chiama a raccolta la cittadinanza di Curinga e dei centri vicini perché si faccia fronte comune nella tutela del territorio, come è già avvenuto in altri paesaggi di pregio della Calabria, che hanno impedito la realizzazione di opere pubbliche e private non in linea con l’identità estetica e con la vocazione ambientale ed economica dei luoghi.

Soprattutto oggi che tanto si parla di sviluppo sostenibile e di rivoluzione green, in un contesto paesaggistico che ha già scelto la sua vocazione.

Curinga ed il suo territorio devono accogliere solo iniziative imprenditoriali che siano strettamente confacenti e sinergiche a tale vocazione e le ristrutturazioni di aziende già esistenti devono andare in questa precisa direzione.

Ed in ogni caso, come prevedono la Convenzione Europea del Paesaggio, il Codice dei Beni Culturali ed Ambientali e lo stesso Piano Paesistico della Regione Calabria, essendo il paesaggio un bene identitario delle comunità che vi risiedono, queste ultime deve essere coinvolte nelle decisioni che riguardano il loro territorio.

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