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AMARONI (CZ) – Peppino Impastato e don Giacomo Panizza, due eroi tra inferno, paradiso e purgatorio

Un momento della serata . Da sx: Caccamo, Monteleone, Panizza e Impastato

Un momento della serata . Da sx: Caccamo, Monteleone, Panizza e Impastato

Un flash sulla mostra dedicata a Peppino Impastato [1]

Un flash sulla mostra dedicata a Peppino Impastato

La Consulta Giovanile Amaronese ha organizzato una serata dedicata ai due simboli dell’anticriminalità. Con don Giacomo anche Giovanni Impastato, fratello di Peppino

 di Franco Polito

 AMARONI (CZ) – 22 MAGGIO 2014 – Lo dicono loro stessi.  A quelli della Consulta Giovanile Amaronese i luoghi istituzionali gli stanno stretti. Li rispettano per quello che rappresentano ma preferiscono non sceglierli per le iniziative che partoriscono. Anche ieri, per un pomeriggio di vera legalità, hanno fatto accomodare tutti all’aperto nel piazzaletto davanti alla loro sede. Un piccolo spazio nel grande spazio dell’anfiteatro Nicolas Green.  A due passi dal paco giochi con il vociare dei bambini e delle mamme a fare da sottofondo a un argomento forte. Impegnativo. Affascinante per certi versi.

 Con il sostegno economico –  organizzativo dell’amministrazione comunale e con l’apporto di alcuni esercizi commerciali hanno messo su “Tra paradiso e inferno: una vita contro la mafia”. La vita di Peppino Impastato e don Giacomo Panizza, due simboli per eccellenza dell’anticriminalità.

 Peppino, giornalista, poeta, militante dell’estrema sinistra, “sognatore” e ambientalista, ucciso a Cinisi il 9 maggio del 1978 per avere denunciato le malefatte mafiose nel suo paese.

Don Giacomo, un “emigrato al contrario”. Da Brescia nel 1976 decide di sbarcare a Lamezia Terme. Là fonda “Progetto sud”, una comunità autogestita assieme a persone con disabilità e per la prima volta assieme a loro occupa uno dei tanti edifici confiscati alle coche locali e mai assegnati.

 Sono fatti così quelli della Consulta Giovanile Amaronese. Animo che non <<se la sente di sentirsi “costretta” il gioioso modo di essere dalla formalità delle sale>> dice Marta Monteleone ringraziando e presentando don Giacomo Panizza e Giovanni Impastato, fratello di Peppino. Con lei c’è pure Umberto Caccamo e il suo resoconto, breve ma intenso, sull’attività della Consulta. L’uditorio è una miscellanea di giovani e più attempati. L’attenzione è uguale in tutti.

 La tiene alta don Giacomo Panizza quando presenta il suo libro “Qui ho conosciuto Purgatorio, Inferno e Paradiso”. Il volume non avrebbe mai dovuto nascere. Troppo bresciano don Giacomo per parlare della Calabria e dei calabresi.

 <<Non conoscevo niente di quel mondo>> confessa. Poi Roberto Saviano e Goffredo Fofi gli tirano uno scherzo da prete. Impostano il libro. Uno butta giù la prefazione. L’altro si inventa le domande. <<Così l’ho scritto. O meglio ho dato le risposte ai quesiti formulatimi>> racconta.  Il suo dire scivola via leggero. Dall’infanzia alla fabbrica. Dalla fulminazione religiosa all’arrivo in Calabria. A Lamezia.

 Dalle nostre parti ci è capitato per riportare indietro alcuni disabili che assieme a dei boyscout erano andati a ricoverarsi in Lombardia. Da qui nasce “Progetto Sud”. Nasce il suo “purgatorio, inferno e paradiso” calabrese. All’inizio gli fanno pensare che la mafia a Lamezia non c’è. Siamo nel 1978. L’ammissione, cruenta, arriva nel 2001. Ventitrè anni dopo. Un quarto di secolo. In Calabria si porta dietro gli insegnamenti della fabbrica. Sono idee chiare. Servono strutture per dormire e per fare la terapia. Quei disabili ne hanno diritto.

 <<Quello che ci toccava per legge ce lo siamo preso con l’occupazione e con degli “atti di forza”>> ricorda don Giacomo. Prima una palestra dell’Asl. Poi un immobile confiscato ai Torcasio, una delle cosche per eccellenza a Lamezia. Si mette contro Antonio, uno dei pezzi da 90 del clan, appena uscito dal carcere.

 

<<Quello ha addosso un bel po’ di omicidi>> gli fanno sapere mettendolo in guardia. Lui va avanti lo stesso. Le minacce non si contano. Alla fine quell’immobile glielo assegnano. A lui e ai suoi disabili. Mai successo a Lamezia. I più deboli hanno vinto. Don Giacomo diviene il primo “testimone di giustiza “ lametino. Per la potente famiglia ‘ndranghetista è uno smacco doversi piegare davanti ai passeggini.

 <<Vui siti u preta de lu demoniu e non de lu Signori>> (<<Voi siete il prere del demonio e non del Signore>>) ebbe a dirgli Teresa Cerra, “mamma  – padrina” dei Torcasio, lanciandogli  la sentenza di morte. E’ ancora in vita. Con quegli occhietti blu vispi e allegri.

 <<La mia esperienza – ripete – l’esperienza di “Progetto Sud” sta a significare che in Calabria le cose possono cambiare. Questa terra ha un futuro. Noi abbiamo vinto con la forza della fragilità, delle carrozzine, con la potenza dei piccoli e delle cose apparentemente insignificanti. Ha vinto la dignità, la cittadinanza, il protagonismo e il vigore di chi è considerato inferiore. Di chi è snobbato. Il segreto sta nell’unione e nel convincimento che bisogna crederci. Anche nelle zone interne. L’importante è volere che le cose accadano>>.

 Pensieri intensi fatti propri da Giovanni Impastato. Anche con lui la concentrazione dell’uditorio non cala. Gli tocca presentare la mostra “Peppino Impastato: ricordare per continuare”. Le sue sono testimonianze miste a considerazioni <<sulla bontà della disobbedienza civile come contributo alto per garantire il rispetto della legalità>>.

 Ci sono tante foto. Praticamente tutta la vita di Peppino. <<Anche mio fratello – ammette Giovanni – ha conosciuto il paradiso, il purgatorio e l’inferno>>. Giovanni ricorda tutto. Non nasconde la matrice mafiosa della sua famiglia. Suo padre, anche se non uomo di primo piano, era parte intergente dell’organigramma criminale. Era il cognato di Cesare Manzella, mammasantissima in quel periodo.

 Ricorda il “paradiso” dell’infanzia a Cinisi, in Sicilia, assicurato proprio da quella famiglia che non gli faceva mancare nulla. Da quelle “figure protettive”. Mamma, papà, zio Cesare e la sua immensa tenuta in campagna.

 Poi all’improvviso cambia tutto. Quando Cesare Manzella il 26 aprile 1963 salta in aria lo scenario muta. Cominciano i drammi. I problemi. <<Peppino – dice ancora Giovanni – capisce che la mafia non era quel mondo dorato vissuto fino a quel momento. Peppino, invece, si rende conto che la mafia ci toglieva tutto. Ci esponeva. Ci toglieva il sorriso>>.

 Per Peppino arrivano il purgatorio e l’inferno. La conseguenza è la rottura. Ideologica. Culturale. Sociale e storica perché avvenuta in una famiglia mafiosa. Il giornale “L’idea”, “Radio Aut” sono scelte dirompenti. Peppino li fa diventare i megafoni della sua battaglia contro il potere criminale di Cinisi. Delle sue battaglie politiche di uomo di estrema sinistra. Di ambientalista.

 Durerà fino al 9 maggio 1978. Quel giorno, nello stesso giorno della morte di Aldo Moro, lo tolgono di mezzo. Non la sua idea. La sua “dimensione simbologica”. Tutta in quelle foto. In quegli “scatti di antimafia”. In cui, per paradosso, c’è anche la mafia. Perché, spesso, è dal parassita che nasce il suo antagonista. Che poi è un eroe. L’eroe Peppino Impastato. Come i modelli, anche ironici e buffi, del film proiettato a fine serata “La mafia uccide solo d’estate” in contemporanea a un “rilassante” aperitivo.